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Mamma….ho paura!!!!
Tutti i bambini attraversano periodi caratterizzati da paure. Le paure sono emozioni ed esperienze che ogni bambino vive, sono reazioni fisiche e psichiche utilissime. La paura è un meccanismo di difesa che mette in stato di allarme l’organismo quando ci troviamo di fronte a qualcosa che sentiamo pericoloso o non conosciamo.
Le paure si presentano inevitabilmente nei periodi di nuova e più intensa attività di apprendimento. La nuova indipendenza, la nuova autonomia e in genere tutte le nuove capacità acquisite dal bambino gli creano un certo scombussolamento. I bambini provano molte paure perché si sentono indifesi e conoscono ancora poco del mondo che li circonda. Mentre un bambino impara a gestire i suoi sensi di paura, impara anche come controllarsi e come gestire la nuova spinta verso nuovi apprendimenti.
La paura del temporale, del buio o quella di alcuni animali dipende, solitamente, dalla difficoltà a controllare la realtà. Poi ci sono le paure che nascono da esperienze negative come la paura del dottore, perché rimanda al dolore fisico e alla malattia. In ogni caso, sono tutte paure fisiologiche, cioè assolutamente normali, che hanno una preziosa funzione protettiva: servono ad aiutare il bambino a sviluppare la capacità di reagire e la vigilanza.
E noi genitori cosa possiamo fare per aiutarli? Prima di tutto dobbiamo accettare il fatto che le loro paure siano legittime. Non serve forzarli a diventare coraggiosi, anzi è controproducente perché i bambini non si sentono compresi. Ancor più negativo è deriderli. È necessario, invece, rispettare i loro tempi e ascoltare con attenzione, disponibilità, rispetto e empatia i racconti delle loro paure. E’ fondamentale che ci sia il nostro riconoscimento sereno ed emotivo che aiuta i bambini nella regolazione delle loro emozioni di paura. Mostrare interesse reale per quelli che sono i loro terrori, anche quelli notturni, dà dignità alle loro insicurezze e li rassicura.
Dobbiamo diventare alleati dei nostri bambini: 'Lottiamo insieme contro le tue preoccupazioni':…un po’ come i Ghostbuster. Spiegazioni razionali, e parole - 'Dai, dai, non avere paura, non c'è nulla!' - non li aiutano, anzi spingerli oltre il margine delle loro paure da soli, senza la nostra alleanza, potrebbe ingigantire il problema.
I bambini superano tutti gli ostacoli quando una figura li accompagna. Dobbiamo imparare a metterci nei loro panni e prendere in carico gli incubi, le loro inquietudini.
Nel caso dei piccoli più introversi e chiusi, che faticano a esprimere i propri vissuti, la soluzione potrebbe essere giocare a rappresentare con loro le situazioni che li impauriscono, magari servendosi di pupazzi oppure facendoli disegnare dando un nome ai loro timori e costruendoci insieme una storia, in modo da imparare a parlare delle loro paure, conviverci per poi superarle.
Altra cosa importante è proporre degli eroi positivi che sconfiggono i cattivi, attraverso le favole e le fiabe. Evitare, invece, di dire: “non entrare lì che c’è il lupo…..non fare i dispetti che arriva l’uomo nero” queste frasi, che noi abbiamo tanto sentito nella nostra infanzia, servono solo a farli sentire insicuri e a fargli sviluppare altre paure.
Cerchiamo poi di non far sentire i nostri piccoli dei fifoni, si sentiranno in colpa e inadeguati. Cerchiamo di non far paragoni con altri bambini perché ogni bambino ha i suoi tempi, una sensibilità e uno sviluppo del tutto diverso dagli altri. Impariamo a rispettarli.
Infine, rassicuriamoli sul fatto che ciò che ora sembra spaventoso può essere affrontato e che crescendo impareranno a vincere le proprie paure, proprio come è successo a noi. Volendo essere del tutto sinceri qualche paura ancora ce l’abbiamo.

E’ arrivata la cicogna……
Spesso l'arrivo di un fratellino scatena gelosia nel primogenito, che si manifesta a causa di un’emozione di paura e insicurezza. Essa è inevitabile, non si può pensare di poterla prevenire del tutto. Alcune manifestazioni di gelosia possono essere: il succhiare il pollice, fare pipì a letto, mettere il broncio, espressioni di ostilità, eccessiva dipendenza; altre possono essere l’aver mal di pancia, dormire male, o avere dei comportamenti insoliti.
I bambini stanno cercando di attirare l´attenzione di mamma e papà mettendoli alla prova. In questi casi, anche se molto difficile e molto impegnativo, non si deve perdere la calma e si deve cercare di dedicare maggiori attenzioni e tantissime coccole proprio al primogenito.
Sin dal vostro ritorno dall’ospedale potete adottare dei piccoli accorgimenti che possono aiutare il bambino ad abituarsi alla presenza del fratellino, come il dargli un regalino da parte del nuovo nato, fargli aprire i regali destinati a lui per renderlo partecipe e farlo sentire importante, chiedere alle persone in visita di dedicare attenzioni anche al fratello maggiore.
Nei primi mesi il bambino deve prendere confidenza con il neonato: lasciateglielo toccare, fateglielo prendere in braccio, solo però sotto il vostro controllo. Cercate la sua collaborazione nel cambiare, vestire o lavare il neonato, solo se lui lo desidera. Usate espressioni che gli facciano sentire di piacere al suo fratellino.
Il papà può avere un ruolo fondamentale nel far sentire il bambino importante ed amato, concedendogli privilegi speciali, e trascorrendo maggior tempo con lui.
Non usate espressioni come “ora che sei diventato grande…”, potrebbe pensare che, se fosse più piccolo e bisognoso di attenzioni sarebbe meglio. 
E’ possibile che il bambino riproponga alcuni comportamenti tipici di quando era più piccolo, permettetegli di farlo, sapere che qualche volta gli è concesso “essere un bambino piccolo” favorirà il processo di crescita. 
Ci vorrà un po’ di tempo prima che il bambino si abitui alla presenza del fratellino e questo richiederà molto del vostro tempo e delle vostre energie, in un momento in cui vi sembrerà di essere nel bel mezzo dell’occhio di un ciclone. Ricordate però che siete in due e che insieme potete essere un’ottima squadra, che magari non vincerà sempre, a volte commetterà qualche fallo, ma che alla fine gioca sempre con il massimo impegno e con l’obiettivo di fare una buona partita. Vedrete ne varrà la pena, perché in questo modo favorirete lo sviluppo di una relazione positiva tra i bambini.

La mamma ha un bambino nella pancia!
Quando noi genitori scopriamo di aspettare un altro figlio iniziamo a farci mille domande, soprattutto rispetto a come comportarci con il primogenito, quando e cosa dire rispetto alla futura nascita e come rispondere alle sue domande.
E' molto importante, preparare il bambino alla nascita del fratellino ed evitare il più possibile che l'evento venga vissuto come inaspettato e improvviso. Quando dargli la buona notizia? Molto dipende dall’età del primogenito, ma non bisogna aspettare di essere vicini alla nascita, perché anche loro hanno bisogno del tempo per capire e metabolizzare ciò che sta succedendo (ricordatevi che noi abbiamo 9 mesi a disposizione e, nella maggior parte dei casi, non sono neanche sufficienti per farci sentire pronti!!!!). Inoltre, non si deve sottovalutare il bambino, che accorgendosi dei cambiamenti che si verificano a casa, o di alcuni malesseri della mamma, se non rassicurato e preparato, potrebbe sviluppare fantasie o comunque andare in confusione.
Ci sono tanti libri da leggere insieme al piccolo durante la gravidanza che ci possono aiutare a spiegargli cosa succede nella pancia della mamma e come sarà avere un neonato in casa (http://mammamogliedonna.it).
Una buona idea è anche quella di riguardare insieme a lui/lei le foto di quando è nato.
Con molta naturalezza si possono far sentire al bambino i movimenti del pancione, ricordandogli di quando eravamo in attesa di lui/lei, e parlandogli del futuro bambino, descrivendoglielo realisticamente come un piccolo che mangia, strilla e la fa nel pannolino, non come un fantastico compagno di giochi. In questo modo non lo illuderemo.
Se possibile fargli vedere altri neonati e coinvolgerlo nei preparativi per l’arrivo del fratellino, ne ha diritto come qualsiasi altro membro della famiglia.
Di grande importanza è programmare con anticipo eventuali cambiamenti, come il portarlo a dormire nella sua cameretta o l’inizio dell’asilo nido, o l’utilizzo del vasino. Far coincidere grandi cambiamenti con l’arrivo di un altro bambino non è una buona idea.
In questo periodo sarà fondamentale il ruolo del papà nel farlo sentire importante, amato e al centro delle attenzioni. Il papà dovrebbe, già da ora, iniziare a svolgere quelle abitudini e rituali che interverranno dopo il parto (leggere qualcosa al bambino prima di metterlo a letto, accompagnarlo all'asilo ecc…).  In questo modo il bambino comincerà ad abituarsi ai cambiamenti in arrivo.
Infine dobbiamo ricordare che in due o più si cresce bene, che la famiglia può e deve
essere un’ottima “palestra” per imparare a condividere, comprendere gli altri, negoziare e anche a gestire emozioni di gelosia e competizione che fanno comunque parte della vita.
Ricordate: avere un fratello o una sorella è una risorsa, non una punizione.

IL BULLO E LA SUA VITTIMA
 “25 Febbraio 2010…. un bambino autistico viene seviziato nel 2006 in un istituto tecnico di Torino da alcuni compagni, il resto della classe non interviene e osserva con indifferenza come se fosse un fatto abituale. Il pestaggio viene filmato……”
22 Febbraio 2010 ….E’ stato cancellato dopo che aveva raggiunto oltre 1.300 iscritti un gruppo italiano di Facebook che inneggiava al bullismo contro i ragazzi down. Con frasi agghiaccianti come “giochiamo al bersaglio con i bambini down…”
“20 Febbraio 2010…… Tre arresti e 35 denunce per bullismo….”
“30 Gennaio 2010……I due giovani lo avevano gia' ferito vicino a un occhio tirandogli durante una lezione una palla di carta stagnola accartocciata. Ipotizzato il reato di lesioni personali aggravate e continuate in concorso….”
A partire dall’età infantile e poi anche nel corso dell’adolescenza è molto difficile inserirsi all’interno del gruppo dei pari e spesso accade che i bambini e gli adolescenti per ricercare conferme sociali imitino modelli negativi.
Questa modalità comportamentale molto spesso è alla base del “bullismo”, fenomeno che negli ultimi tempi è sempre presente nei fatti di cronaca del nostro paese e del mondo.
Ma che cos’è il bullismo?
Il bullismo rientra nella categoria dei disturbi della condotta, i quali vengono definiti come modalità comportamentali abituali di violazione delle regole o dei diritti degli altri che tendono ad esprimersi nei vari ambiti sociali. 
Il termine bullismo è utilizzato per indicare una particolare modalità di interazione tra bambini o ragazzi, per cui uno è protagonista di atti di aggressione e prevaricazione ed un altro si trova nel ruolo della vittima. Può essere manifestato da un singolo individuo o da un gruppo (baby-gang).
Le azioni che possono essere raggruppate sotto la denominazione “bullismo” sono:

        azioni fisiche di prevaricazione: (quelle che spesso fanno più notizia), episodi di aggressione lieve (tirare i capelli o spintonare), appropriazione o danneggiamento di oggetti altrui, forme più gravi di violenza fisica a mano libera o con l’uso di armi;
        comportamenti verbali di prevaricazione: che comprendono diverse forme di minacce, insulti, prese in giro che possono riguardare temi scolastici, aspetti di personalità, caratteristiche fisiche (anche handicap o colore della pelle) e aspetti relativi alle preferenze sessuali;
        comportamenti indiretti di prevaricazione : che costituiscono la modalità più subdola di bullismo, spesso basata sul pettegolezzo, sulla calunnia e miranti ad isolare ed escludere dal gruppo i destinatari.

Le prime due tipologie di azioni bullistiche sono messe più spesso in atto dai maschi; le forme verbali e indirette sono invece una modalità di prevaricazione prettamente femminile.

Per una corretta analisi bisogna distinguere il bullismo da tutti gli altri comportamenti che spesso rientrano nelle normali modalità relazionali dei ragazzini e degli adolescenti, come i dispetti e le risse, la differenza è data dal fatto che gli episodi si ripetono nel tempo con continuità e una certa frequenza tali da instaurare emozioni negative durature nella vittima che li subisce, soprattutto insicurezza e paura.
Il bullismo in genere coinvolge prioritariamente uno o più bulli che effettuano prevaricazioni, soprusi e atti di violenza più o meno gravi nei confronti di una o più vittime che, diversamente dal teppismo, sono predeterminate.
Il criterio della “vittima designata ” è quindi una caratteristica discriminante rispetto ad altri comportamenti apparentemente simili che vanno distinti.
La relazione tra il bullo e la sua vittima è asimmetrica, si basa generalmente sulla forza fisica , sulle differenze psicologiche nella sicurezza di sé o sul potere nel gruppo. Chi assume il ruolo di "bullo", infatti, riesce ad esercitare il suo potere non solo perchè è più grande o più forte, ma perchè spesso gli altri si alleano con lui per proteggere se stessi, e i loro obiettivi diventano frequentemente i coetanei magri e deboli o, viceversa, grassottelli e impacciati.
Generalmente inoltre il bullo sembra avere una maggiore sicurezza di sé alimentata dalle sue prepotenze su quelli che hanno risposte più o meno accondiscendenti e remissive; essa in realtà non corrisponde aduna maggiore forza psicologica, piuttosto ad una sicurezza instabile e derivante dall'esterno, legata alle prevaricazioni, che al contempo, però, possono conferire un senso opposto di insicurezza nelle vittime che aumenta l'asimmetria e che spesso genera anche un potere del bullo all'interno del gruppo.
Fare il bullo, in sintesi, significa dominare i più deboli con atteggiamenti aggressivi e prepotenti, sottoporre a continui maltrattamenti i compagni di classe o di giochi fisicamente e caratterialmente più indifesi. 
I bulli, dietro la loro apparente sicurezza, mostrano dei problemi relazionali destinati a peggiorare con il trascorrere del tempo se le loro modalità relazionali non cambiano.
Diversi studi hanno rilevato che gli scambi relazionali dei bulli sono caratterizzati da deficit relativi a determinate abilità appartenenti alla cosiddetta “intelligenza emotiva” (Goleman D., 1995) e in particolare risentono negativamente di bassi livelli nello sviluppo dell'empatia. Questi ragazzi manifestano un basso riconoscimento delle proprie emozioni che non permette un’adeguata gestione della vita affettiva, la quale risulta connotata da reazioni emotive istintive.
Sono state evidenziate altre caratteristiche volte a spiegare le difficoltà relazionali dei bulli:

        le ridotte abilità verbali  (Fedeli D., 2005) connesse alla tendenza dei bulli a mettere in atto costantemente comportamenti aggressivi quando si verificano situazioni relazionali ambigue per le quali non hanno sufficienti capacità di dialogo utili al chiarimento di situazioni problematiche.
        problemi nelle funzioni esecutive. Sono state osservate, infatti, difficoltà relative alle principali capacità di programmazione del comportamento utili in contesti relazionali, soprattutto seguenti compiti:
·         pianificazione delle proprie azioni e previsione delle possibili conseguenze;
·         controllo di eventuali comportamenti impulsivi che limitano il raggiungimento di obiettivi;
·         adattamento del proprio comportamento a contesti differenti;
·         capacità di posporre le gratificazioni immediate prevedendo futuri successi e vantaggi;
        apprendimento dalle esperienze precedenti.


La vittima, dall’altra parte vive un enorme disagio, si sente isolata ed esposta, e spesso ha paura di riferire gli episodi in cui è stata coinvolta perchè teme delle ripercussioni.
Spesso anche le vittime sono accomunate da alcune caratteristiche psicologiche e comportamentali simili, come ad esempio la mancanza di assertività , cioè la capacità di esprimere se stessi, senza essere passivi o aggressivi.
Se gli atti di prepotenza del bullo si protraggono per lungo tempo la vittima potrà manifestare una flessione a livello dell'autostima e della fiducia in se stessi, che possono portare ad un disinvestimento scolastico, influendo sulla concentrazione e sull’apprendimento. Altre volte possono sviluppare sintomi di ansia o depressione, che vengono manifestati in modo più o meno palese, frequentemente sotto forma di conversioni in sintomi somatici (febbre, mal di testa, problemi gastrointestinali, ecc.), che rappresentano un modo per tenersi lontani dai posti in cui vengono molestati. Altre volte i segni di malessere psicologico possono essere più chiari, come nel caso di crisi di ansia o di pianto o quando sono presenti incubi ricorrenti su temi legati alle pressioni subite.

Numerose ricerche condotte sia in Italia che all'estero indicano il bullismo come fenomeno socio-relazionale maggiormente diffuso nelle scuole elementari e nei primi anni delle scuole medie. Inoltre, stimano che appena il 25% degli episodi di bullismo venga denunciato agli insegnanti e ai genitori (Sullivan, 2000). Molto più spesso il bullismo rimane nascosto anche per molti anni, determinando nella vittima delle conseguenze profonde e talvolta difficilmente reversibili.
I ragazzi che hanno queste modalità di comportamento radicate sono a rischio di problematiche antisociali e devianti, e devono quindi essere aiutati a modificare i loro comportamenti aggressivi, ed orientati verso comportamenti socialmente accettabili che li aiutino ad avere relazioni interpersonali più adeguate.
Le vittime, a loro volta, possono manifestare una flessione del livello dell'autostima e della fiducia in se stessi e mettere in atto tutta una serie di strategie, che possono manifestarsi anche come sintomi psicosomatici, per non andare nei luoghi in cui può incontrare il bullo. 
Infatti, da uno studio dei ricercatori del Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’Università di Padova GIANLUCA GINI e TIZIANA POZZOLI pubblicato sulla prestigiosa rivista «Pediatrics»: 
Association between bullying and psychosomatic problems: a meta-analisys emerge anche che le vittime di bullismo hanno maggiore possibilità di accusare differenti sintomi tra cui emicrania, mal di stomaco, dolori muscolari, vertigini, problemi di pelle, enuresi notturna, inappetenza e vomito.
Il Professor Gini sottolinea: “I bimbi vittime di bullismo sono sottoposti quotidianamente a uno stress molto forte, soprattutto perché gli episodi di bullismo non sono quasi mai isolati o sporadici, bensì ricorrenti, quasi una sorta di persecuzione, e questo innesca in chi li subisce un’ansia costante. Il nostro studio dimostra per la prima volta come ci sia una relazione diretta tra l’essere vittima di bullismo e la manifestazione di determinati disturbi fisici quali, appunto, mal di testa, dolori addominali, vomito, vertigini e malattie della pelle. Sono quei disturbi d’altro canto, spesso definiti di origine “psicosomatica” proprio perché strettamente legati a situazione di forte stress emotivo.”
Le conseguenze di tale situazione divengono spesso gravi e possono provocare conseguenze anche in età successive, rischiando quadri patologici con sintomatologie anche di tipo depressivo.
In questo caso, quindi, bisogna aiutare la vittima a sviluppare adeguate capacità per esprimere la propria rabbia, al fine di fargli recuperare la sensazione del controllo sulla situazione e la fiducia in se stessi.
Occuparsi di questo fenomeno è importante per un'azione di prevenzione rispetto al possibile sviluppo di comportamenti antisociali futuri, per cui diviene fondamentale, per l’adulto ma anche per i pari, riuscire a leggere per tempo i segnali del fenomeno (E. Zambianchi –IRRE Veneto).
E' importante aggiungere che molto spesso vi è una mancanza di interventi da parte degli adulti sugli atti di prevaricazione esercitati in maniera continuativa nei confronti di una vittima, è questa mancanza di risposte che poi facilita il formarsi ed il radicarsi di modelli e di comportamenti tra chi è vittima e chi è prevaricatore.

                                                                                                                                   Dott.ssa Michela Tassotti


LA COPPIA


Nel corso degli anni il rapporto di coppia ha subito una serie di profonde trasformazioni: il modello tradizionale incentrato sul matrimonio è entrato in crisi sia per alcuni fattori sociali che per la crescente incapacità degli individui di tollerare i vincoli, gli obblighi e le formalità; anche se molti ancora optano per il matrimonio, si trovano poi spesso a separarsi e a divorziare nel giro di poco tempo (anni o mesi). E’ in continuo aumento il numero delle coppie conviventi e dei single, ma anche per loro il rapporto di coppia è sempre più difficile da vivere: incomprensioni, litigi, crisi sono sempre più frequenti, e la durata media delle relazioni diminuisce rapidamente. Per questi motivi è importante comprendere quali fattori influenzano la nascita della coppia e quali sono le caratteristiche peculiari di questa relazione.

La formazione della coppia è caratterizzata dalla decisione di due persone di andare a vivere insieme e dare origine ad un nuovo nucleo familiare. Ovviamente perché questo possa avvenire debbono essere state acquisite e sviluppate una serie di competenze cognitive, affettive, interpersonali e sociali, che rendano in grado di corteggiare e di essere corteggiati, nonché di stabilire legami affettivi stabili.
La famiglia d’origine rappresenta per ognuno di noi la fucina relazionale fondante i possibili repertori comportamentali, emozionali e razionali, sono i legami intergenerazionali che fanno da matrice a tutti i rapporti attuali.  Nel bene e nel male tutti noi confrontiamo le figure del presente con quelle del passato e i partner di una coppia si selezionano a vicenda sulla base della riscoperta di aspetti perduti delle proprie relazioni interiorizzate.
Spesso noi non scegliamo il compagno che vogliamo, ma quello di cui abbiamo bisogno.
Perché una coppia possa essere considerata tale è necessaria la presenza di tre caratteristiche della relazione:
·         l'aspettativa da parte di entrambi i partner che questa relazione duri in qualche modo per un certo periodo di tempo e siano impegnati in questo,
·         l’attivazione e/o l’inattivazione di programmi sessuali,
·         l’attivazione e/o l’inattivazione di programmi genitoriali
Queste caratteristiche sono tutte presenti quando si parla di coppia, che quindi, non è la somma di due persone, ma un sistema interattivo formato da tre elementi: i due partner più la definizione della loro relazione.

La relazione di coppia richiede che la risposta positiva al corteggiamento sia conferma del sé reciproco sia come individuo sessuato che come persona, questo include la consensualità sull’essere l’uno speciale per l’altro.
Di conseguenza il programma sessuale che deve essere implicitamente o esplicitamente accettato e condiviso deve comprendere sia l’obiettivo coniugale che quello genitoriale. La definizione della relazione stabilisce che tutte le aree sono interessate.
Un legame coniugale, istituzionalizzato o no, che diventa stabile e si consolida diventa vincolo coniugale, questo passaggio è un processo vitale per una relazione di coppia, funzionale alla crescita dei partner e degli eventuali figli.
Una relazione di coppia funzionale prevede:
       Il confronto-scontro per la ricontrattazione e definizione della relazione.
       La fiducia, basata sulla certezza dell’appoggio, nel sostegno e nel vantaggio reciproco, permette la differenziazione dei partner come persone e quindi l’espressione dell’ individualità nella coppia.

       L’intimità, che stimola e produce rispetto l’uno dell’altro come individui diversi e liberi di esserlo.  Essa comporta l’accordo sull’esclusività di quello che è il loro rapporto di coppia:

       La possibilità di segnare i confini con l’esterno, che ha la funzione di tenere unita la coppia e, allo stesso tempo, di rendere creativo il processo di crescita nel rispetto delle differenze individuali; questo, aiuta anche il sistema famiglia nello svincolo dei partner dalle rispettive famiglie di origine.

       Il consenso che caratterizza e specifica la relazione come volontaria, durevole ( o almeno con l’attesa della durata), orientata al raggiungimento di obiettivi comuni (sessuali, genitoriali, sociali, di mutuo appoggio…), ed esclusiva.

       L’alleanza, in questo caso alleanza coniugale, cioè la collaborazione necessaria al raggiungimento di fini specifici e comuni alla coppia, in armonia o in conflitto con altre parti del contesto familiare e sociale.

       I miti (personale, sull'altro, sulla relazione, sociali), intesi come un insieme di storie, in parte reali, in parte frutto della fantasia, che, rispondendo a bisogni profondi della persona, influenza significativamente atteggiamenti e  comportamenti della stessa.


La costituzione di una coppia rappresenta il cambiamento di due interi sistemi familiari, i quali si sovrappongono per formare un terzo sottosistema (McGoldrick et al. 1995).
In questo stadio del ciclo vitale, i coniugi hanno come compiti di sviluppo la formazione e il consolidamento dell'identità di coppia e la ridefinizione delle relazioni con la famiglia estesa e gli amici, che dovranno venire a comprendere anche il coniuge.
La coppia deve raggiungere un grado sufficiente di differenziazione rispetto la famiglia d'origine, deve distaccarsi da essa, e costruire un confine chiaro intorno al sistema coniugale (Scabini 1991d, Galimberti 1991). In questa fase , è in genere funzionale che la coppia adotti uno stile centripeto (Beavers e Hampson 1195) e tenda ad un grado elevato di coesione (Olson 1995), senza però giungere ad uno stato di isolamento relazionale nei confronti delle famiglie di origine.

Nella relazione di coppia, nel contratto esplicito tra i due partner,  sono comprese tutte e tre le aree della relazione (affettività, sociale e sessuale), e in questa relazione devono convivere i sentimenti, le passioni i doveri, e i desideri di entrambi. Questa convivenza spesso non è facile; alcune esigenze dell'uno possono ad un certo momento apparire inconciliabili con quelle dell’altro, tanto da rendere insoddisfacente e stressante la relazione ad almeno uno dei due.
I disagi nella trasformazione di alcune regole, il mancato superamento di ostacoli che inizialmente erano stati sottovalutati, spingono la coppia a cercare soluzioni o comunque nuovi o più soddisfacenti equilibri.
Accade però che alcune soluzioni cercate divengano un problema ancora più grande di quello da superare inizialmente, soprattutto se le persone chiamate in aiuto a vario titolo si muovono all’interno della descrizione che del problema dà uno dei due membri della coppia. Il problema può, infatti, sembrare irrisolvibile e si può ricercare una soluzione di compromesso o di aiuto a uno solo dei due (Malagoli Tagliatti M. e Telfner U., 1991).
La relazione di coppia deve prevedere la doppia descrizione e riuscire a conciliare l'inconciliabile. I partner devono poter sperimentare, oltre al proprio punto di vista emotivo anche quello, spesso discordante, dell'altro.
La coppia dovrebbe essere aiutata a trovare nuove soluzioni ai problemi, dato che  frequentemente, nei momenti di crisi, tenta di riproporre vecchie soluzioni che però risultano non adeguate e dannose nelle circostanze attuali.
La ricostruzione relazione di coppia deve prevedere una riflessione dei partner sui bisogni e le aspettative che li hanno portati a “scegliersi” e a stringere un "contratto" tra loro. Questo, è necessario per poter fare un nuovo "contratto", più adeguato alla situazione attuale della coppia, e per ridefinire la relazione della stessa.
I legami non si tagliano, non si aboliscono ma, piuttosto, si trasformano; non è possibile uscire dal legame annullandolo, ma è possibile allontanarsene riconoscendolo per quello che è stato e prendendo consapevolezza del valore del legame in modo da poter rilanciare la speranza in altri legami(Cigoli, 1998).

Dott.ssa Michela Tassotti